La storia
La prima pietra della nuova Chiesa, l’attuale parrocchiale, fu benedetta il 1° agosto 1588 da Mons. Giulio Masetti, Vescovo di Reggio Emilia. La Chiesa di S.Francesco di Paola fu fatta costruire fuori le mura del Castello dei Gonzaga da Alfonso Gonzaga che prediligeva Bagnolo “per la sua aria salubre”.
Egli dimorò a Bagnolo soprattutto dopo esser guarito da una malattia (1580) durante la quale aveva fatto promessa di costruire a Novellara una Chiesa ed un Convento ai Cappuccini in omaggio a Padre Gerolamo da Montefiore, che era venuto a benedirlo durante la malattia. Una volta guarito egli affidò i lavori alla moglie e se ne venne a Bagnolo dove cercò di rendere più comoda la Rocca.
Vedendo ancora lontana la costruzione della Chiesa di Novellara, Alfonso pensò di donarne una a Bagnolo, dedicata a S.Francesco di Paola: preparato tutto l’occorrente, il 24 giugno 1588 il progetto fu consegnato all’architetto Andrea Mattarini; i lavori furono iniziati il 1° di agosto e furono interrotti soltanto il 23 ottobre per il periodo invernale.
Il Conte nel frattempo si ammalò e per timore di non vedere realizzata l’opera, dispose nel suo testamento quanto segue:
“..voglio et comando che questo mio corpo fatto di terra sia restituito alla terra et coperto di terra nella Chiesa di S.Francesco da me principiata di fabbricare sopra la piazza di Bagnolo e nella cappella da farsi in detta chiesa…”.
La tomba è tuttora esistente nel sottosuolo della chiesa parrocchiale.
Il 4 ottobre dell’anno dopo morì. Nel suo testamento si trovano le disposizioni secondo cui gli eredi erano obbligati a terminare la chiesa ed il convento secondo il progetto, e fornire tutto l’occorrente per il culto e l’abitazione dei monaci.
La chiesa fu terminata in breve tempo, ma il convento dopo 57 anni non era ancora ultimato; a completare l’opera, con sacrifici e pochi mezzi, furono i frati.
Per quasi 200 anni i Padri rimasero nel convento ma in seguito a sconvolgimenti politici avversari furono costretti, nel 1768, ad abbandonare il convento per ritirarsi in quello di Modena.
La chiesa di S.Francesco non era ancora parrocchiale, poiché il Consigli degli Anziani del Comune nel 1770 stabilì di fare un’altra Chiesa essendo quella di S.Maria Porziola insufficiente e scomoda.
Il Segretario ducale Felice Antonio Bianchi del ducato di Modena propose quindi all’allora podestà di Novellara che la chiesa ed il convento annesso, ormai vuoti, fossero lasciati alla Comunità di Bagnolo, in cambio di un censo di 300 scudi.
Il Parroco di S.Maria Porziola fu autorizzato subito ad entrare in possesso unicamente della chiesa, e solo circa 60 anni dopo anche del convento con l’obbligo di ospitare nello stesso il Cappellano, il Maestro di Scuola e due Chierici. Da quella data, la Chiesa divenne la parrocchiale come è tuttora.
Nel 1788 la Parrocchia fu promossa a rettorato poi tramutato in priorato, e con rogito del Notaio Francesco Boschi furono fissati i confini giurisdizionali della parrocchia che rispecchiano gli
Le campane di Bagnolo in Piano
Per approfondire la storia delle campane della chiesa.
La parrocchia di Bagnolo in Piano tra il 1961 e il 1975
Tesina di Don Lorenzo Zamboni.
Il patrono: San Francesco Da Paola
Francesco nacque il 27 marzo 1416 a Paola (Cosenza) da Giacomo Martolilla e Vienna da Fuscaldo. Già in età avanzata, i genitori attribuirono la nascita del loro primogenito all’intercessione di S.Francesco, e per questo gli diedero il nome del Santo assisiate e promisero di rivestirlo dell’abito votivo dei Francescani.
All’età di quindici anni Francesco fu accompagnato presso i Conventuali di S.Marco Argentano (Cosenza) per sciogliere il voto e prestare l’anno di famulato. Qui Francesco manifestò la sua propensione alla preghiera e le sue doti di pietà, accompagnate da manifestazioni soprannaturali, le stesse che, successivamente, avrebbero alimentato la sua fama di grande taumaturgo. Al termine della sua permanenza i religiosi avrebbero voluto trattenerlo, ma il giovane Francesco, sentendo vicino il tempo di una radicale scelta di vita e avvertendo in sé uno spiccato desiderio di conoscere le diverse forme di vita religiosa, lasciò il convento e, assieme ai genitori, intraprese un pellegrinaggio.
Si recò ad Assisi, toccando Montecassino, Roma, Loreto e visitando gli romitori che costellavano Monte Luco. La visita di Roma lo turbò profondamente: secondo il suo primo anonimo biografo, Francesco redarguì lo sfarzo di un cardinale con le parole: “Nostro Signore non andava così”. L’episodio mostra come nell’animo del giovane andasse ormai maturando l’idea di una riforma della vita ecclesiale basata sulla povertà.
Il pellegrinaggio costituì motivo di riflessione e di decisioni per il suo futuro. Ritornato a Paola, Francesco espresse ai suoi genitori il desiderio di condurre vita eremitica. Attorno al 1435, si ritirò fuori dell’abitato di Paola, in un terreno di proprietà della famiglia, suscitando grande stupore fra i concittadini per l’austerità del suo modo di vivere. L’esperienza di Paola lo forgiò alla contemplazione, al lavoro, alla solitudine e alle privazioni e mortificazioni corporali.
Ben presto iniziarono ad affluire al suo eremo molte persone desiderose di porsi sotto la sua guida spirituale e di condividere lo stesso austero genere di vita. Con l’arrivo in diocesi di mons. Pirro Caracciolo, nominato arcivescovo di Cosenza il 31 agosto 1452, il movimento ottenne il beneplacito dell’ordinario diocesano e potè dotarsi di un oratorio. I flussi di pellegrini che si portavano all’eremo di Paola attirarono l’attenzione di Paolo II che, agli inizi del 1467, inviò un suo visitatore per indagare sulla vita di Francesco. Al rientro in Curia, mons. Baldassarre De Gutrossis rassicurò il papa sulla fedeltà di Francesco alla Sede Apostolica e, visto che l’Eremita aveva avviato la costruzione di una chiesa, il 7 luglio 1467 gli fece ottenere una lettera collettiva di quattro cardinali con la quale concedevano l’indulgenza, alle consuete condizioni, a coloro che avessero visitato o contribuito alle spese per l’erigenda chiesa di Paola.
Col trasferimento a Paola, agli inizi del 1470, dell’ex visitatore che avrebbe assunto il nome di Padre Baldassarre da Spigno, iniziò l’iter giuridico che avrebbe portato al riconoscimento ufficiale del movimento eremitico fondato da Francesco. La prima tappa fu costituita dal nulla osta rilasciato da mons. Caracciolo il 30 novembre 1470. A distanza di alcuni anni, grazie al fattivo interessamento dell’arcivescovo cosentino e all’opera diplomatica di Padre Baldassarre, il 17 maggio 1474 il movimento ottenne l’approvazione pontificia assumendo il nome di “Congregazione eremitica paolana di S.Francesco d’Assisi”. Al romitorio di Paola seguirono quelli di Paterno Calabro (1472), Spezzano della Sila (1474), Corigliano Calabro (1476) e Milazzo (1480). La vita di questi eremiti era regolata dagli “ordinamenti e statuti” che, in parte, confluirono nelle successive stesure della regola.
Francesco divenne per Paola un punto di riferimento religioso e sociale, entrando nel cuore della gente che si recava da lui per sottoporgli problemi di diversa natura. L’Eremita era visto, inoltre, come l’unico baluardo in grado di opporsi ai soprusi della corte aragonese, come la persona capace di mettersi dalla parte della gente povera e semplice di quel lembo del Regno di Napoli e di assumere un ruolo di vero “umanista” nell’interesse di chi non aveva voce. Francesco era, per il suo genere di vita, un contestatore che richiamava le grandi figure dell’anacoretismo. Lo avvicinavano potenti e semplici, ed egli non faceva distinzione di ceto: una testimonianza al processo apostolico di Cosenza afferma che Galeazzo di Tarsia, barone di Belmonte, si recò più volte a Paola chiedendo la guarigione, e che Francesco gli fece portare le pietre insieme agli altri operai. Il Santo seppe creare attorno a sé un ambiente di profonda religiosità e fede con l’invito costante alla preghiera e all’osservanza della volontà di Dio.
Fin dall’inizio, Francesco ebbe fama di grande taumaturgo I prodigi accompagnarono tutta la sua vita, a partire dalla costruzione dei primi conventi fino alla sua andata in Francia. Fu il suo un potere taumaturgico a favore di tutti, ma in particolare dei poveri e degli oppressi dalle diffuse malversazioni dei potenti, contro le quali Francesco non si stancò di levare la voce.
Gli elementi usati per il miracolo erano davvero secondari o insignificanti, i primi a portata di uomo, quasi a far capire che non erano essi a guarire o a risolvere il problema, bensì Dio. C’è un fatto che ben sottolinea la “metodologia” del miracolo. Un giovane di Paola, nonostante il consulto di medici di fama, aveva su un braccio una piaga che non si rimarginava. La madre gli disse: “Vai anche tu al romitorio di Francesco e vedrai che ti farà la grazia”. Si decise, andò ed espose il suo problema e tutti i tentativi fatti per guarire. Francesco si abbassò, prese la prima erba che gli venne tra le mani e gli disse: “Falla bollire, mettila sulla piaga e sarai guarito!”. Il giovane lo guardò e gli disse: “Di quest’erba ve n’è tanta a Paola, possibile che fa miracoli?”. L’Eremita replicò: “É la fede che fa i miracoli!”. Ad un prete che gli faceva questa domanda: “Come fai a sapere che quest’erba ha delle virtù?”, Francesco rispose con semplicità evangelica: “A chi serve fedelmente Dio e osserva i suoi comandamenti, anche le erbe manifestano le loro virtù”. Molti dei suoi miracoli impressionarono grandemente letterati e artisti, che l’immortalarono nelle loro opere, come il noto episodio del passaggio dello Stretto di Messina compiuto sul mantello steso sulle onde del mare.
Portata dai mercanti napoletani, la fama di Francesco giunse in Francia, alla corte di Luigi XI, allora infermo, il quale chiese a papa Sisto IV di far arrivare l’Eremita paolano al suo capezzale. Fu l’inizio del “capitolo diplomatico” della vita di Francesco. Il pontefice, desideroso di un riavvicinamento alla Francia, con la quale avrebbe voluto un accordo per l’abolizione della Prammatica Sanzione di Bourges del 1438, accolse favorevolmente l’ambasceria francese e altrettanto fece il re di Napoli. Furono però necessari molti mesi per convincere Francesco, il quale accettò di partire solo quando il papa glielo impose. Fu per l’Eremita un’obbedienza difficile: aveva 67 anni, la sua Congregazione si era da poco estesa anche in Sicilia e, soprattutto, aveva ritrosia ad andare a vivere in una reggia con un appannaggio sovrano, dopo aver vissuto per più di trent’anni in un romitorio. Il sacrificio richiestogli di lasciare il Regno di Napoli sarebbe poi stato largamente compensato dal favore della corte francese verso il suo Ordine e dagli interventi della medesima presso la Curia Romana.
Lasciato l’eremo paternese il 2 febbraio 1483, Francesco fu accolto a Napoli trionfalmente sia dal popolo, sia dalla corte, che dalla sua andata in Francia sperava in un allontanamento della paventata invasione del Regno da parte dei Valois. Il Re Ferdinando I avrebbe preteso un rapporto preferenziale dal suo suddito. A Roma Sisto IV lo ricevette più volte, affidandogli delicati incarichi. Al suo arrivo al castello di Plessis–les–Tours, Luigi XI si inginocchiò di fronte a lui, chiedendogli la benedizione. Il sovrano non ottenne la guarigione, ma l’azione a corte del Paolano portò ad un lungo periodo di buoni rapporti tra il papato e la monarchia francese, di cui beneficiarono anche i Regni di Spagna, Boemia e Napoli.
Francesco fu subito benvoluto a corte e, nonostante la non conoscenza della lingua, fu avvicinato dai semplici, come dai dottori della Sorbona, desiderosi di riforma personale questi ultimi e in cerca di interventi prodigiosi i primi. Francesco visse in Francia circa venticinque anni e si creò il suo mondo lavorando un appezzamento di terra, presentandosi come riformatore della vita religiosa e con l’aureola di uomo di Dio penitente, eremitico, un nuovo Giovanni Battista. Per questo suo austero stile di vita venne scelto da alcuni benedettini, francescani ed eremiti, che lasciarono le rispettive famiglie religiose per aggregarsi a Francesco. Il loro arrivo, oltre a internazionalizzare la Congregazione calabrese, determinò un profondo cambiamento al suo interno, in quanto fu abbandonato l’eremitismo e fu introdotta la vita cenobitica. Tale svolta portò alla nascita dell’Ordine dei Minimi, seguita dalla fondazione prima del Terz’Ordine secolare e poi delle Monache. Le rispettive regole furono definitivamente approvate da Giulio II il 28 luglio 1506.
Francesco si spense a Tours il 2 aprile 1507. La fama di questo taumaturgo, attraverso i tre rami della famiglia Minima (frati, monache e terziari), si diffuse in Europa, favorendo la sua beatificazione (7 luglio 1513) e la sua canonizzazione (1° maggio 1519) avvenuta a soli dodici anni dalla morte.